20/10/2013

Consiglio Generale Cisl Belluno Treviso del 10 ottobre: la relazione della Segreteria

Consiglio generale Cisl Belluno Treviso del 10 ottobre 2013

La relazione della Segreteria

"La convocazione di questo Consiglio Generale a Longarone è un modo per rivolgere un doveroso tributo alla memoria delle vittime dell'immane tragedia del Vajont, ma è anche per noi occasione, rileggendo le pagine dolorose e sofferte della nostra storia, di riflessione e insegnamento su quanto è accaduto, ma anche su come una comunità, pur provata da una sofferenza così grande, ha saputo reagire e ricostruirsi un futuro".

Con queste parole lo scorso 10 ottobre nella sala congressi della fiera di Longarone Anna Orsini, Segretario generale aggiunto della Cisl Belluno Treviso, ha aperto la relazione della segreteria nel primo Consiglio generale della Cisl Belluno Treviso dopo il congresso di unificazione. Molti i temi toccati dalla relazione: sviluppo locale, prospettive del manifatturiero, coesione sociale, tutela dell'ambiente e del territorio, riorganizzazione degli assetti amministrativi. Eccone la versione integrale, scaricabile anche in pdf

"Care Amiche, cari Amici,
La convocazione di questo Consiglio Generale qui a Longarone è indubbiamente un modo per rivolgere un doveroso tributo alla memoria delle vittime dell'immane tragedia del Vajont, ma è anche per noi occasione, rileggendo le pagine dolorose e sofferte della nostra storia, di riflessione e di insegnamento su quanto è accaduto, ma anche su come una comunità, pur provata da una sofferenza così grande, ha saputo reagire e ricostruirsi un futuro.
Il rapporto con l'ambiente e la natura è un rapporto complesso e delicato insieme e gli uomini devono saperci convivere senza forzarne l'equilibrio, pena l'alterazione di tutto l'ecosistema quando non di terribili disastri. Dobbiamo renderci conto, e accettare, che non sempre la natura sta dentro i calcoli matematici, soprattutto se questi sono il risultato di un approccio superficiale e arrogante: e anche oggi che pur disponiamo di tecniche più sofisticate e studi più approfonditi sui fenomeni geomorfolocigi, permane un alto tasso di imprevedibilità che dovrebbe sollecitare grande attenzione e prudenza.
Il territorio è bene collettivo che va rispettato, preservato e accudito anche per le future generazioni: certo, è possibile l'utilizzo sapiente delle risorse locali, ma entro percorsi sostenibili a beneficio di tutta la comunità. L'ambiente, soprattutto quello montano caratterizzato da grandi fragilità, ha bisogno di interventi di cura e manutenzione costanti, sostenuti da stanziamenti mirati se non vogliamo fare la retorica del giorno dopo, ma effettivamente prevenire i problemi e non rattoppare i danni, con costi che poi, tirate le somme, si moltiplicano.
La storia del Vajont è però anche quella di un intreccio di enormi interessi economici, di forti lobbies di potere, di interessi di pochi sugli interessi di molti, di mancanza di controllo pubblico. E tutto questo ci richiama ai temi, anche oggi molto attuali, della trasparenza e della legalità rispetto ai quali il nostro Paese deve compiere molti passi avanti.
Le conseguenze del terribile disastro hanno segnato profondamente, ma non hanno piegato la comunità che ha saputo reagire con grande compattezza e solidarietà. Il Bellunese era territorio povero, con altissimi tassi di emigrazione, dotato di scarse infrastrutture, lontano da quel processo di modernizzazione che invece ferveva in altre parti del nostro Paese. Gli aiuti di Stato per la ricostruzione sono arrivati e sono stati importanti, ma c'è stata anche la determinazione e l'intelligenza di una classe politica che ha saputo costruire una solida prospettiva per tutto il territorio. Da quell'immane sciagura è nata, infatti, l'attuale industrializzazione della Provincia che ha consentito lo sviluppo di un rilevante tessuto economico produttivo, portando benessere per la nostra comunità.
Si può ripartire quindi, anche dalle condizioni più difficili e dolorose: ma diventa determinante il ruolo della politica che deve agire con lungimiranza e sempre perseguire gli interessi della collettività.
E riportando questo pensiero al presente non possiamo che rilevare quanto poco questa affermazione si adatti alla realtà di questi giorni
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Siamo di fronte alla più grave crisi politica istituzionale che il nostro Paese abbia mai vissuto, aggravata da una crisi economica senza precedenti della quale oggi non si vede via d'uscita.
Avevamo apprezzato il tentativo, fortemente voluto e costantemente sostenuto dal Presidente Napolitano, di dar vita ad un governo di servizio partecipato da forze politiche che, pur contrapposte, si impegnavano a condividere un percorso con l'obiettivo di dare risposte ai drammatici problemi di sostenibilità finanziaria, crescita economica e stabilità politica.
Era ed è per noi, anche ora, l'unico modo per dare un segnale della volontà di questo Paese di accettare le sfide che aveva di fronte, di recuperare quella credibilità internazionale che ci rende affidabili nei confronti dei mercati finanziari e seri interlocutori dentro e fuori l'Europa.
Non c'eravamo mai molto illusi riguardo alla capacità di questa strana maggioranza di tenere un alto profilo e di non cedere alla tentazione che, in modo ricorrente si manifestava, di giocare a beneficio della propria parte piuttosto che inseguire i più generali interessi del Paese. Ma mai avremmo potuto immaginare un livello di incoerenza così alto rispetto agli impegni presi, come quello manifestato in questi ultimi giorni e che ha portato il PDL ad annunciare le dimissioni dei propri parlamentari ed a ritirare i propri Ministri, aprendo di fatto una nuova crisi di Governo ad appena 5 mesi dal suo insediamento.
La parola responsabilità,diversamente da come l'intendiamo e la pratichiamo noi, rappresenta evidentemente per alcuni un espediente retorico che si piega a seconda delle circostanze e che viene utilizzato a scopo esclusivamente elettorale per giustificare prese di posizione dettate da ragioni personali e di bottega, e spacciate per prioritari interessi collettivi.
L'obiettivo evidente era di andare alle elezioni in un clima di resa dei conti dove domina il populismo e il massimalismo, le vere iatture del nostro Paese.
Ovviamente il nostro giudizio critico va distribuito in modo direttamente proporzionale al diverso peso e alle diverse responsabilità di quanti erano interessati a manovre destabilizzanti, di copertura e di rincorsa a interessi di fazione più che all'interesse generale del Paese.
Così anche nel centrosinistra l'incessante discussione sulla leadership portava più a concentrarsi sulla ricerca-confronto di candidati vincenti che sulla elaborazione di un programma di governo Governo condiviso e solide alleanze. E noi già sappiamo, lo abbiamo già visto, quanto poco respiro rischia di avere questo progetto.

Noi riteniamo positivo l'esito cui, alla fine, si è giunti. Oggi, alle condizioni date e con questa legge elettorale, non ci sono alternative a questo Governo.
Che sia chiaro: dicendo questo non rinunciamo a nessuna nostra posizione, non ci poniamo in atteggiamento di rassegnata impotenza; vogliamo e sapremo pressarlo, spingere ad una concertazione vera, portarlo a rispondere ai gravi problemi che poniamo.
Oggi è più che mai importante il nostro ruolo e la capacità di stimolo e proposta. Noi chiediamo e pretendiamo una vera assunzione di responsabilità. La chiediamo e la offriamo.
Una responsabilità che serva a scuotere la società e farla uscire da quell'immobilismo che ha caratterizzato questi ultimi decenni e che trova le radici in una sorta di provincialismo in cui la nostra società si è ripiegata, determinando un atteggiamento molto attento alle questioni interne piuttosto che orientato a capire il peso e le conseguenze dei fenomeni che la globalizzazione economica e finanziaria stavano determinando e gli effetti che questi avrebbe comportato per il nostro sistema.

Immobilismo della classe politica, ma anche di una parte del mondo imprenditoriale ( quella che non saputo investire nelle proprie aziende per stare nei mercati internazionali) e di una parte del mondo sindacale (quella che, continuando a leggere la realtà con le lenti dell'ideologia, utilizza la demagogia per sostenere obiettivi velleitari).
Alla base di tutto questo c'è il vizio, italiano ma anche veneto, di puntare su obiettivi immediati invece di perseguire risultati più duraturi di medio e lungo termine. Abbiamo bisogno di uno sguardo lungo e di azioni che aprano scenari nuovi. In questa direzione dovrebbe muoversi anche la legge di stabilità che ci attendiamo.
Crescita, occupazione ed equità sono le parole del nostro impegno, che noi già da tempo abbiamo declinato in puntuali richieste al Governo e che oggi ritroviamo anche al centro del Patto di Genova, recentemente sottoscritto fra OOSS e Confindustria, in cui abbiamo rivendicato:
- una revisione del sistema fiscale nella direzione della semplificazione e dell'efficienza funzionale a rilanciare investimenti, consumi, occupazione;
- una riduzione del prelievo fiscale attraverso le detrazioni per lavoratori dipendenti e pensionati;
- l'abbattimento del cuneo fiscale sul lavoro troppe volte promesso e mai realizzato;
- una più favorevole tassazione per le imprese soprattutto quelle che investono, innovano e creano occupazione;
- le risorse necessarie per gli ammortizzatori in deroga e una definitiva soluzione ai problemi degli esodati;
- di rendere permanenti le misure a favore della detassazione e delle decontribuzione legate alla produttività contrattata a livello decentrato;
- di affrontare in modo strutturale il tema dei costi e del funzionamento della PA, anche attraverso un riordino istituzionale con l'obbiettivo di consentire maggiore efficacia all'azione pubblica
Abbiamo bisogno di un governo stabile sì, ma che affronti le criticità che il Paese da troppo tempo vive, stabilisca le priorità e definisca tempi per le diverse scelte.

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Tutto è cambiato così radicalmente e così velocemente che facciamo fatica ad adattarci al nuovo contesto, alle crescenti difficoltà del nostro tessuto produttivo in crisi per mancanza di ordinativi o di liquidità.
Non c'è giorno in cui non assistiamo ad una apertura di crisi nelle nostre aziende, al ricorso alla cassa integrazione (quasi 20 milioni di ore nei primi 6 mesi dell'anno), al licenziamento delle maestranze (quasi 100.000 disoccupati), mentre si moltiplica lo spettacolo di capannoni vuoti e di esercizi chiusi.
Per non parlare dei fenomeni di delocalizzazione, la risposta alla perdita di competitività delle nostre aziende, che, in contesti diversi, trovano una più favorevole risposta al costo del lavoro, dell'energia e dell'imposizione fiscale, nonché alle lentezze burocratiche.
Non ci sentiamo assolutamente "fortunati" se il tasso di disoccupazione è "solo" il 10 % in una Regione in cui il lavoro è il tratto distintivo della sua cultura; per noi il lavoro ha sempre rappresentato quel fattore di riscatto da una situazione di povertà e di marginalità sociale nella quale versavano un tempo gran parte della nostra popolazione. E' fondamentale condizione per star dentro a una comunità operosa, poco incline all'assistenzialismo, che ha sempre ritenuto importanti valori sociali quelli dell'impegno e della responsabilità individuale.
Difficile accettare la condizione attuale in cui vediamo sbriciolare a poco a poco il tessuto economico dei territori, in particolare il settore manifatturiero che è stato per molti anni il motore trainante del nostro sviluppo. e con questo le certezze di migliaia di lavoratori.
Oggi sono centinaia le famiglie in una condizione di povertà, prive di reddito e di ammortizzatori e senza speranza di trovare una qualsiasi attività nel breve. Un dramma sociale senza precedenti che ci riporta indietro di molti anni. A questo problema bisogna far fronte: probabilmente non basteranno più le risorse pubbliche che pur noi continuiamo a chiedere, né potranno venire in soccorso le casse dei Comuni, sempre più vuote. Dobbiamo quindi guardare all'esperienza degli Enti Bilaterali che vanno consolidati e innovati nella loro azione per costruire un nuovo e più efficiente sistema di protezione sociale sussidiario e di prossimità che sappia dare risposte ai bisogni, oggi solo parzialmente soddisfatti, dal welfare pubblico.
Ma dobbiamo anche sviluppare nuove forme di solidarietà e mutualità territoriale utili a sostenere il valore della coesione sociale e cercare di riportare dentro un disegno unitario l'attuale frammentarietà di interventi, attraverso il coordinamento di tutti i soggetti pubblici e privati impegnati in azioni di solidarietà ed assistenza.
E' un quadro ovviamente diversificato quello che abbiamo di fronte, diverso fra i due territori di Belluno e Treviso per la composizione del tessuto economico, con variazioni fra settori e segmenti merceologici nei quali la crisi sta impattando. Drammatica in questo contesto la situazione del settore edilizio, in crollo verticale. Sono certamente utili i recenti provvedimenti che prevedono sgravi fiscali per le ristrutturazioni e che stanziano fondi per l'edilizia scolastica. E' purtroppo ancora poco per invertire la caduta, anche in considerazione del fatto che la legge di stabilità impedisce agli enti locali di intervenire nella manutenzione del territorio e delle infrastrutture e di realizzare opere pubbliche.
Ci sono fortunatamente realtà ancor solide che già da molto tempo si sono orientate ai mercati internazionali, unici in cui la domanda di beni è, pur a fasi discontinue, in crescita, visto che il mercato interno, per le note ragioni, è assolutamente asfittico.
Lo shock generato dalle trasformazioni del quadro generale sta darwinianamente selezionando le nostre imprese. Alcune di queste hanno messo in campo comportamenti proattivi, sforzandosi di adattarsi alla mutata condizione di contesto e intraprendendo nuove strade. Accanto ad aziende che si sono rivolte verso prodotti ad alto livello tecnologico ed innovativi, che hanno costruito nel tempo una significativa rete internazionale di fornitori e clienti, che hanno sviluppato al proprio interno settori dedicati alla ricerca o consolidato rapporti di collaborazione con università, vi sono piccole e medie realtà tradizionalmente rivolte al mercato interno che non sono riuscite a stare al passo con i tempi.
La diffusione dell'impresa familiare, che era uno dei punti di forza della nostra economia, oggi è un elemento di debolezza. Le piccole dimensioni, la scarsa propensione all'innovazione, la gestione chiusa e poco orientata alla delega che rende difficile lo sviluppo di una cultura manageriale, sono tutti elementi che rappresentano un freno al cambiamento quando non determinano il fallimento vero e proprio dell'attività imprenditoriale.
Bisogna quindi spingere con più forza i cambiamenti già in atto nella nostra manifattura tradizionale, che si sta già ridimensionando nei numeri, che non potrà avere un futuro e non sarà per noi garanzia di occupazione, per dar spazio a nuove produzioni ad alta densità tecnologica e di conoscenza.
Da questo punto di vista vi è una sensibile differenza fra ciò che accade a Belluno e a Treviso: entrambi sono territori con un'alta propensione al'export, ma, se si vanno ad analizzare i dati, si riscontra che mentre a Treviso i beni ad alto contenuto tecnologico sono pari a 35% dei prodotti esportati, per Belluno la percentuale scende al 20% del totale. E' evidente che ciò mette in serio rischio le produzioni standard, che sono più facilmente riproducibili e sostituibili dai Paesi a basso costo di mano d'opera, come in effetti si è dimostrato per molta parte dell'occhialeria bellunese.
D'obbligo quindi partire dai fattori competitivi che già possediamo, quel Made in Italy che tanto appeal ha nel mondo, verso il quale sta mostrando interesse la classe medio-alta dei Paesi emergenti, una fascia di consumatori in forte crescita alla ricerca di prodotti di antica tradizione, e di qualità, innovativi nel design e nelle tecnologie di avanguardia.
Non basta allora competere sui costi di produzione e sull'elevata qualità, ma puntare su un mix di nuove competenze che comprende anche un uso sistematico ed intensivo dell'informazione e della comunicazione. Le imprese di successo oggi sono meno industriali del passato e più terziarie. Non rinunciano alla cultura del prodotto e della manifattura, ma la considerano come un presupposto per immaginare una nuova creazione di valore.
Se i settori che praticano l'innovazione sono gli unici che sono in grado di reggere l'agguerrita concorrenza internazionale e garantire stabile occupazione, è a più livelli che dobbiamo fermare la nostra riflessione.
1) CAMBIAMENTO COME ORIENTAMENTO CULTURALE
L'attitudine al cambiamento è un fatto eminentemente culturale, sta dentro alla mentalità e alla cultura di una comunità e in genere è fortemente condizionato dalle relazioni che una comunità o un soggetto ha con l'esterno. Non è però un elemento statico, è un elemento sul quale si può intervenire, ma deve essere al centro di una precisa strategia e di concrete azioni atte a modificare, almeno in parte, l'orientamento valoriale;
2) CAMBIAMENTO E RETI DI RELAZIONE
il cambiamento e la sperimentazione sono fortemente determinati da creatività e inventività personale, ma, in generale, sono anche il risultato di un'attitudine ad adattarsi a nuovi contesti, ad accogliere le sollecitazioni esterne. Da questo punto di vista l'ecosistema entro i quali si è inseriti diventa fondamentale: un ambiente complesso, ricco di relazioni, favorisce la nascita di nuove idee, stimola la realizzazione di esperienze, facilita l'attivazione di una rete professionale o anche personale in cui scambiare saperi, competenze e progettualità. L'innovazione, soprattutto oggi, nasce dalla contaminazione di esperienze e saperi diversi, dalla necessità di rispondere a nuovi bisogni, a stili di vita, a orientamenti culturali molto attenti ai temi della sostenibilità e della green economy.
Il contesto può essere quindi agente propulsivo di cambiamento: a volte le condizioni positive si determinano autonomamente, a volte casualmente, a volte infine sono il frutto di un orientamento strategico ben preciso. E' verso questo tipo di approdo che il Veneto e anche i nostri territori devono puntare: piattaforme territoriali che devono fungere da fertilizzatori del nuovo ciclo economico.
Va da sé che, come conseguenza, devono essere sostenute la ricerca e la sperimentazione, facilitato l'insediamento di aziende che puntano sull'innovazione, favorita la presenza di servizi altamente specializzati, garantita una rete efficiente di infrastrutture. Vanno quindi create una serie di reti di relazioni entro le quali, anche realtà non prossime territorialmente, possono partecipare ed interagire.
3) INNOVAZIONI E LIVELLI DI ISTRUZIONE
Le attività che puntano sull'innovazione hanno bisogno di un alto livello di competenze all'interno e all'esterno dell'azienda, oltre che di inventiva e di creatività. Si pone quindi il problema di riconvertire le risorse professionali già esistenti da una parte e, dall'altra, recuperare figure con un alto livello di istruzione e formazione.
Le indagini sul mercato del lavoro dimostrano che oggi, pur nell'estrema difficoltà di trovare una occupazione, vi sono più opportunità per i giovani laureati piuttosto che per quelli senza o con una bassa qualifica professionale. C'è quindi un interesse collettivo nel promuovere il conseguimento di alti livelli di istruzione: le famiglie però devono essere aiutate, visto che è sempre più difficile sostenere il costo di un percorso universitario soprattutto quando questo si realizza lontano da casa.
Forse è per questa ragione che i dati della Camera di Commercio di Treviso parlano una flessione dei giovani che si indirizzano verso gli studi universitari; mentre a Belluno si assiste ad una vera e propria fuga di giovani (e non solo) che cercano esperienze lavorative altrove, non riuscendo a trovare spazio in ambito locale. Questo fenomeno è sicuramente riconducibile alla scarsa propensione dell'imprenditore bellunese ad innovare e a circondarsi di alte professionalità. Una fuga senza ritorno che, come in un circolo vizioso, finisce poi per privare le comunità di quelle energie e di quelle professionalità che sono utili ad alimentare ulteriori processi di crescita.
E' anche in una migliore relazione fra scuola, università ed impresa che si può trovare una risposta a questi fenomeni: le esperienze anche significative di rapporto fra mondo dell'istruzione e mondo del lavoro vanno sostenute, ampliate e ancor meglio qualificate. La formazione rimane comunque il nodo centrale rispetto alle politiche di sviluppo che nel capitale umano trovano il maggior ingrediente di successo.
L'evoluzione del profilo delle aziende darà sempre più luogo all'espulsione della maestranze a basso livello professionale o al loro mancato assorbimento: già adesso, chi è privo di lavoro fatica a ricollocarsi non solo per la bassa domanda che il mercato esprime, ma per le difficoltà a riproporsi in attività in cui non possiede né alcuna qualifica né alcuna esperienza. Le politiche attive del lavoro, per le quali la Regione si è oggettivamente spesa, devono essere potenziate. A livello territoriale deve essere creata una cabina di regia che, utilizzando fondi interprofessionali, regionali, europei e avvalendosi dell'apporto di tutte le categorie economiche e della bilateralità, sia in grado di dare una risposta meno episodica, più strutturata ed efficiente alle richieste di riconversione e ricollocazione professionale.
4) COMPETIZIONE E SISTEMI TERRITORIALI
Oggi la competizione internazionale è competizione sì di aziende, ma soprattutto di sistemi territoriali. Nessuno è in grado da solo di affrontare questo difficile processo di cambiamento: Dobbiamo superare l'habitus mentale improntato prevalentemente all'agire individuale, tipico della cultura veneta, per affermare la cultura di un agire concertato e sviluppare una cooperazione competitiva.
Imprese, istituzioni locali, organizzazioni sindacali, soggetti pubblici e privati, istituti bancari devono sentirsi impegnati ad orientare le singole aspettative e i singoli interessi verso una progettualità comune, individuando le priorità e puntando al miglior utilizzo delle risorse esistenti.
Solo in questo modo si potrà assicurare maggiore spinta e maggiore coerenza nella definizione di un nuovo modello di sviluppo che riesca a coniugare, in tutti i settori, alta tecnologia e sostenibilità ambientale; un modello di sviluppo che, valorizzando le migliori esperienze nei campi del'industria, dell'artigianato, del commercio, dell'agricoltura e del turismo, esprima una forte identità, frutto di un'originale combinazione di innovazione e tradizione.
Il Veneto, per storia e cultura, è caratterizzato da un marcato policentrismo delle rete di governance, segno indubbiamente di vitalità e partecipazione del tessuto sociale, ma che oggi si trasforma in limite evidente alla necessità di realizzare un disegno complessivo dei processi da avviare. I punti di debolezza del nostro sistema sono evidenti: frammentazione delle iniziative, sovrapposizioni di soggetti e istituzioni, polverizzazione delle risorse, asimmetria informativa, scarsa capacità di realizzazione di iniziative integrate, si traducono in una bassa competitività e attrattività del nostro territorio.
Bisogna allora modificare queste condizioni se vogliamo riprogettare il nostro modello di sviluppo. Devono essere superati viziosi individualismi, interessi di piccoli gruppi che rincorrono spesso obiettivi a breve termine, lobbies che vogliono mantenere lo status quo, dal quale ricavano potere.
E noi della CISL che, nella nostro impegno quotidiano, abbiamo costanti interlocuzioni con il mondo associativo imprenditoriale e con le realtà amministrative locali, possiamo avere un ruolo importante, anche da facilitatore per chi spesso parla con linguaggi diversi. Un ruolo di proposta riguardo alle priorità da individuare, ma anche in relazione alle strategie e alle modalità con le quali gli obiettivi possono essere raggiunti.
Una recente riflessione proposta da ambienti confindustriali approfondiva il tema della necessità di una concertazione con gli Enti Locali proprio sullo sviluppo del territorio, ma non faceva riferimento al ruolo e al coinvolgimento del sindacato Questo è purtroppo lo specchio di una realtà imprenditoriale che vive ancora la rappresentanza sindacale come soggetto di pura rivendicazione, piuttosto che di attore importante e propositivo in una fase di grande cambiamento del Paese.
A Belluno e a Treviso abbiamo sottoscritto dei patti diversi fra loro che vanno, l'uno nella direzione di individuare obiettivi comuni in una visione strategica del cambiamento nel territorio; il secondo più orientato ad affrontare il rilancio della contrattazione aziendale e territoriale come strumento per accrescere la competitività e la produttività.
Entrambi hanno avuto un breve respiro e hanno finora prodotto, non per nostro demerito, esiti inferiori alle iniziali aspettative.
C'è evidentemente un salto culturale che la nostra controparte deve ancora compiere rispetto al nostro ruolo. Non si fa innovazione né aziendale né territoriale se non si migliora e non si amplia la qualità del confronto con il sindacato. La contrattazione, prevalentemente difensiva, che abbiamo condotto in questi anni, ha dimostrato la nostra capacità di realizzare accordi coniugando gli interessi dei lavoratori con gli obiettivi dell'azienda. La nostra partecipazione e discussione su temi dell'organizzazione del lavoro, della produttività, della formazione e dello sviluppo professionale rappresenta un valore in sé in quanto occasione di condivisione di temi strategici per l'azienda e composizione di interessi generali.
5) CAMBIAMENTO DEL CONTESTO ISTITUZIONALE E SOCIALE
Non possiamo tuttavia pensare di ridare vigore al nostro sistema produttivo se non modifichiamo profondamente l'assetto amministrativo dei nostri territori. Se è vero che i processi sociali ed economici vivono in osmosi con il contesto in cui si realizzano, beneficiando delle sollecitazioni o subendo le resistenze al cambiamento, è evidente che la scommessa per l'ammodernamento del nostro tessuto sociale ed economico passa anche attraverso la riorganizzazione dei nostri enti locali. Le esperienze già avviate dimostrano la bontà del modello associativo che consente una gestione più economica dei servizi e risparmi di sistema, fondamentali in un momento di così grande ristrettezza finanziaria. Bisogna con forza prendere la strada della fusione dei Comuni che viene sostenuta anche da importanti risorse che potrebbero andare a vantaggio delle fasce più deboli della nostra popolazione, soprattutto degli anziani per i quali c'è sempre maggior bisogno di interventi assistenza. Vi sono poi altre ragioni che consigliano questa via: Comuni più grandi sono sicuramente più incisivi con l'esterno e nell'interlocuzione con la Regione e sono il grado di acquisire una visione più ampia e più strategica del territorio
La concertazione territoriale diventa lo strumento con il quale rivendichiamo maggior equità nella distribuzione dei carichi fiscali che devono essere alleggeriti per le fasce più deboli dei cittadini, e con la quale proponiamo la regolamentazione della partecipazione ai costi dei servizi alla persona attraverso l'utilizzo dell'ISEE.
In questo senso, dobbiamo rivolgere un particolare ringraziamento all'attività dei pensionati che sono i maggiori protagonisti dell'interlocuzione con gli Enti Locali e che si fanno carico, nelle loro rivendicazioni, non solo delle esigenze delle persone anziane, soprattutto non autosufficienti, ma delle richieste di aiuto ed assistenza che una parte, sempre più consistente, delle famiglie avanza.
Nei nuovi accorpamenti è sicuramente centrale la questione del personale che spesso oppone resistenze: la Cisl ha qui un ruolo chiave perché è con lo strumento della contrattazione che potranno essere affrontati questi nodi, puntando sulla specializzazione e sulla valorizzazione del capitale umano in un contesto di miglioramento dell'efficienza organizzativa.
Realizzare questo disegno significa, quindi, lanciare un messaggio molto forte nella direzione del cambiamento: un territorio che si sa attrezzare per migliorare i servizi, pur in una condizione di calo risorse, aumenta il proprio grado di competitività ed attrattività verso l'esterno.
La riorganizzazione delle spazio territoriale deve infine obbedire ad un disegno strategico ben preciso e deve essere coerente con l'organizzazione del moderno modello industriale, quel cluster di imprese e attività che diventano la spina dorsale del nuovo sviluppo economico.
E' al dibattito sulla PA TRE VE a cui faccio ovviamente qui riferimento, e alla necessità che si superino i rigidi confini amministrativi che mal si adattano, già adesso, alla gestione di un ampio spazio metropolitano strettamente interconnesso. E' una enorme opportunità quella che abbiamo di fronte, e non solo per le importanti risorse messe a disposizione dell'Europa; è nell'interesse dell'intero Veneto che si realizzi la creazione di un sistema fortemente integrato, con grandi fattori di innovazione, un nodo di connessione fra scala globale e dimensione locale.
E parlando di assetti amministrativi non posso non ricordare il dibattito che da ormai qualche anno scuote il territorio bellunese sul tema della provincia. Al di là del futuro di questi livelli istituzionali, il territorio bellunese ha bisogno di un governo di area vasta, sicuramente più snello e in maggior raccordo con gli enti locali, a cui affidare le competenze già previste dallo Statuto Veneto e le necessarie risorse economiche ad esse collegate.
Senza entrare nei particolari per la delicatezza e la complessità di questo problema, c'è comunque una questione di identità che però non si può risolvere con l'isolamento dal contesto regionale. La chiusura, come abbiamo già visto, mortifica la vitalità ed è spesso sintomo di paura e debolezza. Il territorio di Belluno deve mantenere solidi rapporti con tutta l'area montana, ma non deve rinunciare alle opportunità di un'attiva interlocuzione con il resto del Veneto. D'altronde i problemi della montagna sono anche i problemi della pianura, poiché, ad esempio, la mancanza di efficaci interventi per limitare i rischi idrogeologici, ha sempre determinato pesanti ripercussioni anche a valle. E poi, se solo pensiamo al turismo, per il quale il Bellunese ha enormi potenzialità, possiamo immaginare i vantaggi di costruire sinergie forti con Venezia, unica città italiana conosciuta in tutto il mondo, che potrebbe rappresentare un traino forte anche per il territorio montano. Il territorio bellunese comprende più del 70% delle Dolomiti, riconosciute Patrimonio dell'Umanità dall'Unesco, ma non è in grado di competere per carenza e scarsa qualità di strutture ricettive con le province autonome di Trento e Bolzano. Se si vuole assicurare un futuro per questi territori, quasi ormai privi di altre attività economiche e segnate dall'abbandono e dell'invecchiamento della popolazione, bisogna intervenire con maggiori risorse ed assicurando un livello strategico alto che sappia far sintesi di quella frammentarietà di soggetti e interventi che, come è già stato sottolineato, è un limite al nostro agire.
E' importante rivolgere uno sguardo anche al tema della riforma del sistema socio-sanitario regionale, da quale ci aspettiamo una più incisiva risposta soprattutto ai nuovi bisogni di cura e di assistenza. Un nuovo modello che vede il proprio baricentro sul territorio piuttosto che sull'ospedale, e che avrà, quale elemento qualificante, l'integrazione fra: i diversi livelli di servizi sanitari e socio-sanitari, i differenti punti di erogazione delle prestazioni, la pluralità di figure professionali coinvolte. La sfida che abbiamo qui è duplice: ma una parte costruire una percezione sociale positiva rispetto alla nuova proposta, pena un processo involutivo verso il vecchio modello non più sostenibile in termini di costi e non adeguato ai nuovi standard; dall'alta, seguire e monitorare con attenzione la realizzazione del percorso, verificando la coerenza fra quanto affermato dal Piano, e da noi condiviso, e le azioni messe in campo.
Il settore sanitario e socio assistenziale, sia pubblico che privato, per l'alta intensità di lavoro umano, continuerà ad offrire opportunità di occupazione che potrebbero essere maggiormente interessanti con l'apertura all'assistenza transfrontaliera prevista per il 25 ottobre, una sorta di Trattato di Schengen della salute per il quale i malati possono curarsi nei diversi Paesi della UE. E l'eccellenza del nostro sistema potrebbe diventare un elemento di attrattività e contribuire in modo ancor più significativo all'economia del territorio.

Ed in conclusione non possiamo non portare la nostra attenzione all'esperienza di accorpamento delle due strutture di Belluno e di Treviso. Anche questa si può collocare all'interno di quel processo di cambiamento che fortemente sollecitiamo nei confronti dei soggetti pubblici e privati, e che ci vedono precursori di un modello innovativo di interpretare il nostro ruolo sul territorio.

E' una esperienza sicuramente faticosa poiché ci costringe a rimetterci in gioco e di rivedere, anche profondamente, il nostro modo di lavorare e di gestire l'organizzazione. Guai se non fosse così, poiché vorrebbe dire che non stiamo procedendo alla fusione, ma che stiamo invece accostando semplicemente un modello culturale ed organizzativo ad un altro, e ci priviamo delle potenzialità che solo un significativo confronto ed una reale integrazione portano alla superficie.
Ed è un confronto che non si gioca tanto sui numeri, ma sulla capacità di offrire migliori contributi e soluzioni per la nostra attività di tutela e rappresentanza dei lavoratori e dei pensionati.
Andiamo avanti con coraggio su questo percorso, quel coraggio che chiediamo ad altri e che oggi noi siamo chiamati a testimoniare, forti anche della leadership di Franco Lorenzon che sicuramente guiderà l'organizzazione verso un ancor maggior radicamento sul territorio ed un più alto e qualificato livello di rappresentanza".

Longarone, 10 ottobre 2013
Cisl Belluno Treviso