28/05/2011

Non basta una marcia per essere il "cuore della società"

Prima ancora di essere effettuata, l'Assemblea di Unindustria di Treviso ha avuto un indubbio successo. Più per la programmata manifestazione di protesta, che per l'andamento dei lavori, caratterizzati per lo più dalla riaffermazione dell'orgoglio industriale.

Qualcuno ha accostato questa protesta a quella che in passato aveva visto protagonista la stessa Unindustria trevigiana, guidata allora da Nicola Tognana. In realtà la cifra politica delle due iniziative è profondamente diversa.

Allora Tognana rappresentava una base di imprenditori medio/piccoli che non trovava udienza nei piani alti di Confindustria nazionale. Non a caso Tognana diventò poi vicepresidente nazionale dell'Associazione.

Ora Vardanega non ha bisogno di spazio politico dentro Confindustria, essendo uno dei primi e più autorevoli sostenitori della Marcegaglia.

Quale dunque il senso politico di una protesta, che tale è stata, al di là delle precisazioni formali?
In realtà è in gioco il rapporto tra Confindustria e Governo (non ‘questo Governo'), un rapporto che storicamente è stato sempre di grande collaborazione. La lobby imprenditoriale, infatti, ha sempre saputo far valere molto bene i propri interessi nei confronti di qualsiasi Governo.

Cos'è successo allora di così importante da determinare un atteggiamento così clamoroso?
La prima ipotesi - la meno convincente - è che Confindustria conti meno nei confronti della politica e del Governo. La Confindustria continua a contare, eccome se conta!

La seconda ipotesi - vera ma non decisiva - è che la crisi mondiale non consenta al Governo molti margini di manovra. I margini ci sono ma, come vedremo, non sono di facile realizzazione.

La terza ipotesi - che considero la più fondata - è che questa politica (e questo Governo) non sia in grado di dare molto, a meno che non riformi se stessa, rimettendo in discussione i modi e le forme con cui essa governa il nostro Paese. In parole più chiare, riformando un sistema politico in cui lavorano a vario titolo circa un milione di persone, e il cui lavoro è quello di autoalimentarsi producendo burocrazia e costi, che si traducono in tasse aggiuntive sul lavoro.

E questo, per Confindustria e per tutto il mondo del lavoro, non è più sopportabile.

Sotto questo punto di vista il gesto simbolico di Unindustria Treviso ha una sua logica, anche se la forma adottata è sicuramente rivedibile: se neanche gli industriali si riconoscono più come classe dirigente di questo Paese, chi dovrebbe farlo?

C'è invece un aspetto dell'assise trevigiana che mi trova in disaccordo, ed è quello richiamato nel titolo della convention, là dove si afferma che le imprese sono "cuore della società".

Sarebbe stato ragionevole considerare le imprese "motore" della società, ma non cuore. Se non altro perché "essere cuore" è una qualità da meritarsi e da condividere con altri soggetti della politica, della società civile, del lavoro e dell'economia, della cultura e delle religioni.

Per essere "cuore" occorre, infatti, avere strategia per il futuro, responsabilità sociale e soprattutto qualità morali che nessuno ha, né può avere, in esclusiva. Diversamente, si rischia, com'è avvenuto all'assise di Unindustria, di dimenticarsi delle migliaia di lavoratori che in questo ultimo periodo in provincia di Treviso hanno pagato la loro responsabilità con la incolpevole perdita del posto di lavoro.

Franco Lorenzon
Segretario Generale Cisl Treviso