2/09/2011

Crisi, mercati, occupazione: l'autunno caldo della Marca trevigiana

Incertezza nel mondo del lavoro
Dopo le ferie a rischio duemila posti nel trevigiano
Intervista al segretario della Cisl di Treviso Alfio Calvagna

Non occorre alcuna manovra economica per far versare "lacrime e sangue" agli italiani. Al di là delle decisioni che prenderanno (a quando la manovra definitiva?) i politici a Roma, il problema vero è la mancanza di ripresa economica. E poi la fine di ogni sostegno al reddito utilizzato nei tre anni di crisi.
Anche Treviso, alla riapertura delle industrie, si trova a far i conti con questa prospettiva. Un autunno particolarmente complicato, perché ormai è chiaro che questa situazione non passerà ma bisognerà saper governare i cambiamenti strutturali in atto nei processi produttivi soprattutto, ma non solo, del settore manifatturiero. Il problema - ne è convinto Alfio Calvagna della segreteria provinciale della Cisl di Treviso - è governare questi cambiamenti nell'incertezza più totale.
"La crisi produttiva nel nostro territorio è confermata dalla lettura dei dati degli ultimi due anni e mezzo. E' in atto una trasformazione che cambierà l'assetto delle nostre aziende e il lavoro così come li abbiamo conosciuti dagli anni Settanta".

A proposito di lavoro, già prima della chiusura estiva delle aziende, la Cisl aveva espresso preoccupazione per la ripresa. Sono confermati i vostri timori?
Oltre cento aziende non potranno più usufruire degli ammortizzatori sociali. Solo in questa settimana sono giunte qui alla Cisl 4 notizie di fallimenti. Se fino a tre anni fa avevamo un tasso di disoccupazione al 3,8 per cento, fisiologico, oggi siamo sopra l'8 per cento. Senza considerare i lavoratori che godono degli ammortizzatori e che sono ancora considerati occupati per le statistiche. Ma sappiamo bene invece che le industrie si stanno riposizionando nel mercato con diverse tecnologie e strutture organizzative che prevedono un 20-25 per cento di lavoratori in meno. Per questo abbiamo stimato che rischiamo di perdere altri 2.000 posti di lavoro in questo periodo dopo averne persi circa 7.500 nell'anno precedente. Oltretutto siamo di fronte a personale spesso dequalificato, di mezza età, in maggioranza donne, figure deboli con difficoltà a essere ri-professionalizzate. Vediamo, in parte, uno spostamento delle attività verso il terziario, da industria a servizi. Dal sistema del collocamento si notano assistenti socio sanitarie italiane specializzate.

Oltre al tipo di disoccupazione che lei sottolineava, c'è, però, anche quella giovanile, una novità per il nostro territorio.
Anche se non raggiungiamo le cifre del Sud Italia, i dati sono allarmanti. Preoccupano perché non vedo segnali di cambiamento per avvicinare i giovani al mondo del lavoro. Ci stiamo provando modificando anche la legge sull'apprendistato. Che sia davvero un apprendistato professionalizzante e che dia alla fine un lavoro, ma che non venga utilizzato esclusivamente per gli sgravi fiscali che consente. Occorre che venga applicata la seconda parte della legge Biagi. Dobbiamo mettere in atto un percorso che qualifichi il giovane, che insegni un mestiere già quando si è sui banchi di scuola. I famosi stage che arrivano ai centri per l'impiego sono utili solo se avvicinano al mondo del lavoro. L'introduzione andrebbe fatta già dal terzo anno delle superiori. A livello locale stiamo mettendo in atto alcune linee di intervento attraverso la contrattazione con Unindustria e la Provincia per quanto riguarda i centri professionali di sua competenza. Abbiamo trovato anche dei presidi di istituti tecnici interessati a queste forme di approccio e di vicinanza tra scuola e lavoro.

Il problema è che spesso i giovani non sanno bene che percorso scolastico intraprendere. Anche la campagna promossa da Unindustria per indirizzare i giovani verso istituti tecnici o professionali, si è scontrata con il "mito" dei licei. Cosa fare?
C'è in effetti un problema di orientamento delle famiglie e anche di orientamentamento scolastico che va dalle scuole superiori fino alla scelta della facoltà universitaria, come risulta da studi effettuati anche tra le università di Padova e Venezia. Troppi laureati in materie umanistiche. Inoltre, noi manchiamo nella conoscenza delle lingue, negli stage all'estero...

Lei ritiene che in questo periodo di crisi gli Enti locali, Regione e Provincia in testa, abbiamo fatto quanto era nelle loro possibilità per cercare di risolvere i problemi del mondo del lavoro?
Sicuramente la Regione Veneto ha dato un grosso sostegno al reddito promuovendo la cassa in deroga, prima regione italiana. Ha messo in campo contributi ingenti e grazie alla contrattazione ha allargato la platea degli aventi diritto, ad esempio alle piccole e medie imprese del settore artigiano che altrimenti avrebbero avuto solo il contributo del proprio ente bilaterale. Contributi sono arrivati grazie alla Regione anche dal Fondo sociale europeo dando copertura al sistema industriale. Però questo è l'unico punto a favore dell'occupazione e dei lavoratori. Il resto è tutto da reinventare alla luce dei cambiamenti dell'economia mondiale. Treviso finora è stata in grado di competere sempre con i mercati internazionali e quindi di riposizionarsi con nuove idee, creatività e nuovi posti di lavoro. Ma in passato ci trovavamo comunque in una fase di sviluppo. Ora siamo vicini alla recessione.

Lucia Gottardello

 

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