5/09/2011

Quando lo sciopero (separato) non basta per risolvere i problemi dell'Italia

Quando lo sciopero (separato) non basta per risolvere i problemi dell'Italia

I problemi dell'Italia non si risolvono con uno sciopero separato, per quanto possa ben riuscire. Non tanto perché non ci siano delle buone ragioni per essere insoddisfatti della piega che hanno preso gli avvenimenti in quest'ultimo periodo (con una manovra economica fatta e disfatta cento volte, perdendo tempo e credibilità), quanto perché si tratta di uno strumento che funziona con qualche successo quando c'è da fare una battaglia per meglio ridistribuire il reddito, ma molto meno quando c'è da produrlo o quando c'è da tagliare qualcosa. E perché oggi si deve fare i conti non solo con un Governo che ha grandi responsabilità, ma anche con una finanza internazionale che dell'Italia giudica l'efficacia del risanamento e non questo o quel particolare provvedimento.

Certo, lo sciopero serve anche per dare un'identità collettiva a chi vi partecipa e può essere piegato a convenienze politiche, ma così la sua efficacia sarebbe quella di una pistola caricata a salve.
La nuova dislocazione del lavoro a livello internazionale (con l'affermazione dei cosiddetti Paesi emergenti) e il ruolo assunto dalla finanza globale (con le speculazioni sui debiti degli Stati sovrani, ivi compresa l'Italia), costringono tutti (inclusi i lavoratori e i pensionati) a giocare una nuova partita, in un nuovo campo, con nuovi giocatori e con nuove regole. Con questo scenario, più della lotta, è decisivo saper dove andare e dove ‘mettere i piedi', altrimenti i rimedi potrebbero essere peggiori del male.
Oggi in Italia il sentimento prevalente è il disorientamento, al quale si associa la paura di perdere molte delle conquiste ottenute nella seconda metà del secolo scorso.

L'andirivieni delle misure ipotizzate dal Governo conferma che l'unica bussola che lo guida è la preoccupazione delle conseguenze elettorali dei propri provvedimenti e non la giustizia e l'equità né un'idea chiara di dove condurre l'Italia.

D'altro canto, l'opposizione (le opposizioni) non sembra avere una chiarezza superiore, se è vero che le sue proposte "sono perfino meno incisive sul piano delle riforme e più spostate sul piano delle entrate", come hanno sottolineato due autorevoli commentatori ‘di sinistra' come Tito Boeri e Luca Ricolfi.
Questa generale incertezza strategica sta inducendo tutti i gruppi di interesse a rifiutare ogni intervento che li riguardi, nel convincimento che debbano essere altri a pagare il costo del necessario risanamento, dando vita ad una difesa corporativa che perde di vista il destino del Paese.

La Cisl, grazie al suo ancoraggio ad un modello sindacale moderno, responsabile e lungimirante, nella sua storia è sempre stata impegnata a cogliere e a interpretare al meglio i grandi cambiamenti di fase come quello attuale.

Negli anni '50 inventò la contrattazione aziendale, quando la Cgil scioperava per mantenere Contratti nazionali incapaci di assicurare ai lavoratori le opportunità di un tumultuoso sviluppo economico.
Negli anni '80 inventò la predeterminazione degli scatti di contingenza, quando la Cgil scioperava per difendere una scala mobile che aveva contribuito a ridurre il potere d'acquisto dei salari grazie ad un'inflazione che aveva raggiunto il 20%.

Negli anni ‘90 inventò la politica di concertazione che ha evitato il default dell'Italia, con la Cgil che vi si opponeva, fatto salvo il contributo del suo segretario generale, che però dovette presentarsi dimissionario ai propri organismi direttivi.

Oggi pare che il copione si ripeta, con una Cgil che non capisce - o non vuole capire - che basta che la Bce non acquisti più Bot dell'Italia per costringerci a rivedere - aumentandone i costi - una manovra economica che avrebbe già superato la soglia stratosferica di 130 miliardi.

L'Italia ha seri problemi di governance politica, ma pensare che la società e l'economia siano esenti da colpe e, soprattutto, credere che basti uno sciopero ‘separato' per risolvere problemi di questa natura e di questa portata, è un errore che si potrebbe pagare molto salato.

Questo non significa attendere passivamente gli eventi (molti dei provvedimenti che riguardano il mondo del lavoro, come le questioni relative alla previdenza, alle festività, al posticipo del TFR per il pubblico impiego, hanno trovato in queste settimane ragionevoli soluzioni, e c'è ancora tempo per ulteriori miglioramenti durante la fase del dibattito parlamentare), ma essere consapevoli che occorre responsabilità, pazienza, determinazione fino all'ultimo momento utile di confronto e di negoziazione.

Come ha ripetutamente auspicato, rimanendo inascoltato, il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E, soprattutto, l'Italia ha bisogno di un sindacato pluralista e unitario: pluralista perché capace di valorizzare le diversità che sono garanzia di vero radicamento tra i lavoratori e i pensionati, e unitario perché in grado di garantire una vera autonomia dagli interessi dei partiti politici. Tenendo ben presente che per fare uno sciopero basta la legittima e giustificata preoccupazione dei lavoratori, ma per risolvere i problemi che abbiamo di fronte ci vuole qualcosa di più.

Franco Lorenzon
Segretario Generale Cisl Treviso