20/05/2020

1970-2020: lo Statuto dei Lavoratori compie 50 anni

Bonan: “Punto di riferimento fondamentale nella tutela dei lavoratori"

Lo Statuto dei Lavoratori è il nome con cui è nota la legge 300 del 20 maggio 1970 che si intitola “Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento” e nonostante siano passati 50 anni dalla sua approvazione, è ancora un punto di riferimento normativo fondamentale nella tutela dei lavoratori.

La legge ebbe tre padri: nell’iniziativa politica Giacomo Brodolini, ministro del Lavoro, nei contenuti giuridici il Professor Gino Giugni, presidente della commissione di esperti giuristi che formulò le norme; sul piano dei risultati concreti Carlo Donat-Cattin, ministro del Lavoro, dopo Brodolini, che portò ad approvare la legge prima in Senato poi alla Camera.

Lo Statuto dei Lavoratori si affacciava al mondo come uno dei provvedimenti più avanzati in materia dei diritti dei lavoratori, attuando alcune delle disposizioni previste dalla Costituzione che sino ad allora erano rimaste inattuate: il fine ultimo era quello di “portare la Costituzione nelle fabbriche”.

La tensione sociale era altissima e fu solo grazie all’opera di mediazione del ministro del Lavoro di allora, Carlo Donat Cattin, che si evitò il peggio dentro alle grandi fabbriche. Il clima nel Paese era veramente cupo e la tensione raggiunse il suo culmine con la strage di Piazza Fontana del 15 dicembre del ’69, che provocò 17 morti e decine di feriti.

In questo clima il Parlamento varò lo Statuto che i più votarono a favore, come evidenziò l’ampio consenso parlamentare, ma si registrarono anche forti critiche in ambito politico e sindacale.

Quando il 20 maggio 1970 entra in vigore la legge siamo nella fase forse più cruenta della vita italiana dopo il fascismo e la guerra: sono trascorsi solo cinque mesi dalla bomba di Piazza Fontana e non più di un anno dalla rivolta degli operai veneti a Valdagno. A Torino grandi scioperi martellano le officine Fiat, mentre nel Paese è ancora vivo il ricordo degli eccidi di Avola in Sicilia e di Battipaglia nel Salernitano, dove la polizia aveva sparato sui braccianti in sciopero, con un bilancio di quattro morti e oltre duecento feriti.

Lo Statuto dei Lavoratori è anche una risposta a questi drammi. Prima i lavoratori erano schiacciati da una mole di regole, potevano essere spiati e sorvegliati, subivano la disciplina del cottimo, subivano licenziamenti collettivi, mentre le nuove norme garantivano il diritto alla libertà d’opinione, prevedevano partecipazione sindacale nelle assemblee, difendevano il salario unico, abolivano le gabbie salariali, modificavano i meccanismi di inserimento al lavoro, esigevano la giusta causa per i licenziamenti, proteggevano le condizioni delle donne lavoratrici. Era la più profonda innovazione fra capitale e lavoro, dai tempi del passaggio delle otto ore.

Confindustria era ostile (all’inizio). I datori di lavoro più conservatori erano per un boicottaggio. Inoltre si temeva una svolta di destra, per cui Donat-Cattin spinse per approvare la legge in fretta perché riteneva che in un Paese che aveva distribuito in maniera diseguale i benefici del boom economico e la bilancia andava riequilibrata. E in quei pochi mesi (sette in tutto) al vertice del dicastero realizzò riforme che diedero ai lavoratori una dignità in larga misura sconosciuta e furono riformate le pensioni facendo conoscere all’Italia il senso profondo del concetto di “welfare”.

Ancora oggi, nonostante siano passati molti anni dalla sua approvazione, lo Statuto dei lavoratori è la legge chiave in molte materie come il licenziamento nelle aziende maggiori, i diritti sindacali, la normativa sui controlli a distanza dei dipendenti e molto altro. In materia di lavoro è, senza dubbio, la fonte normativa più importante nel nostro ordinamento dopo la Costituzione, che ha fissato i principi fondamentali della materia. L’obiettivo fondante della legge era perseguire la pace sociale e l’organizzazione imprenditoriale.

Oggi però le esigenze organizzative del mercato del lavoro, impensabili solo fino a qualche anno fa, impongono una rivisitazione complessiva delle regole. I nuovi lavoratori si trovano a saltare tra rapporti iper tutelati ad altri privi di garanzie. Il popolo delle partite IVA costituisce un mondo che non può più essere ignorato e necessita di una robusta difesa contro lo sfruttamento e una disciplina economica a supporto di sistemi previdenziali e di welfare. L’economia digitale richiederà sempre di più la presenza di lavoratori autonomi ma anche organizzati, capaci di lavorare per risultati e lo smart working diviene sempre più esperienza vicina al vissuto aziendale con norme che spesso si riferiscono a tradizionali modalità lavorative.

In questo modello economico lo Statuto dei lavoratori nato sulla spinta delle sommosse delle grandi fabbriche che occupavano nello stesso sito migliaia di lavoratori ha ancora una sua ragione? Sicuramente mantiene forte e attuale il principio che il cittadino al lavoro non perde diritti di libertà.

È però il concetto stesso di dualismo tra rapporti di lavoro autonomi – subordinati che va ripensato e quindi l’impianto regolatorio stesso dello Statuto rivisto ed ampliato. Già il compianto professor Biagi auspicava un passaggio da uno Statuto dei lavoratori ad uno dei “Lavori” che potesse dare dignità a ogni forma del “fare” umano senza obbligatoriamente ricorrere alla riconduzione all’una o all’altra categoria (autonomo e subordinato). Questo quindi sarà il futuro da scrivere per lo Statuto: passare da una legge che dia regole e garanzie per i lavoratori subordinati a un modello che consenta di fornire risposte a tutte le tipologie di lavoratori e lavori.

 

Cinzia Bonan - Segretario Generale Cisl Belluno Treviso