6/10/2023

Vajont: conoscere, capire, coltivare la memoria perchè la storia non si ripeta

Il 9 ottobre il 60° anniversario della tragedia


“La pubblicazione del libro “Vajont. La prima sentenza – L’istruttoria del giudice Mario Fabbri”, oltre ad essere una grande occasione per tutti per conoscere e capire il prima e il dopo del disastro del Vajont, rappresenta anche una opportunità per ribadire l’impegno di ognuno di noi nel proprio ruolo di responsabilità sociale, istituzionale, politica e/o di cittadino nell’adoperarsi perché non si ripeta mai più una tragedia come questa.

Don Milani, di cui quest’anno ricorre il centenario della nascita, affermava che “il motore del cambiamento sono: la parola, la coerenza, la testimonianza” o - per dirla come don Mazzolari - “non serve avere le mani pulite, se si tengono in tasca”.

Certamente i responsabili di 1.910 morti e 2.400 feriti per la frana di 266 milioni di metri cubi del Monte Toc che generò un’onda di 50 milioni di metri cubi non ebbero le mani pulite nel progettare, commissionare e realizzare quella sciagurata diga. Ma neppure oggi possiamo pensare che per evitare tragedie come questa sia sufficiente tenere le mani in tasca, soprattutto quando in ballo vi è la tutela della montagna dolomitica e del suo delicato eco-sistema, che rischia di essere compromesso certamente dai cambiamenti climatici, ma anche per l’incapacità di mettere in sicurezza un territorio fragilissimo.

Così come non basta tirar fuori le mani dalle tasche senza conoscere e comprendere la montagna, senza valutare i rischi di progetti sbagliati, l’impatto che potrebbero avere opere faraoniche prive di sostenibilità ed eredità per lo sviluppo corrente e futuro del territorio. Questo pensavano menti illuminate e lungimiranti come Enrico Mattei e Edoardo Gellner nel costruire negli anni Cinquanta il Villaggio ex Eni di Borca di Cadore.

Proprio la fragilità delle Dolomiti è il motivo per il quale urgono investimenti di messa in sicurezza a partire dalle opere che andrebbero, vanno e andranno realizzate.

Per questo riteniamo che, ove vi siano risorse da investire per realizzare opere non rinviabili, la parola d’ordine debba essere “mettere in sicurezza”. Con ciò, pur non volendo entrare in una discussione che non ci compete, come quella sulla pista da bob per le Olimpiadi, ci chiediamo che senso possa avere investire 124 milioni di euro per un’opera che rischia di fare la fine della pari struttura di Sestriere, abbandonata dopo una settimana di gara e mai più utilizzata.

Così come ci chiediamo perché ad oggi nessuno di chi ha la titolarità della decisione abbia raccolto le innumerevoli istanze del mondo economico, sociale, lavorativo e istituzionale del territorio e orientato la scelta del collocamento del villaggio olimpico negli edifici dell’ex Eni di Borca di Cadore, anziché a Fiames (dove verrebbe smantellato a fine Giochi), investendo i circa 40 milioni di euro per mettere in sicurezza l’intera area e ristrutturare un manufatto di straordinaria contemporaneità e funzionalità, da restituire alla comunità come nuovo motore di rigenerazione.

Per questo il sessantesimo triste anniversario della tragedia del Vajont, oltre alle giuste celebrazioni, deve ribadire a tutti noi, alla nostra comunità bellunese e all’intero Paese la più sacrosanta delle verità: il pericolo non si nasconde tra le pieghe del territorio e delle sue montagne, ma nella mano dell’uomo, che se tenuta in tasca o utilizzata male può generare enormi danni al territorio e alle persone che lo abitano”.

Massimiliano Paglini
Segretario generale Cisl Belluno Treviso